Coreografia: Michele Merola Musica: Depeche Mode, Steve Dugardin, Machine Fabrier, Vex'd Costumi: Carlotta Montanari Luci: Cristina Spelti Assistente alla Coreografia: Paolo Lauri
Anche la danza, al pari delle altre Arti, performative e non, sceglie il confronto con i giorni che stiamo vivendo. Per meglio comprendere il presente con occhi privi di pregiudizi, questo nuovo appuntamento di danza, “Sulle ali dell’Ippogrifo” di Michele Merola, volge la barra al passato, alla cultura umanistica del ‘500. Per farlo, consegna il testimone ai giovani di Agora Coaching Project, il progetto di perfezionamento creato e diretto dal 2010 da Merola ed Enrico Morelli. In questa prospettiva, l’Orlando Furioso (1512) di Ludovico Ariosto, gemma del nostro Rinascimento, riemerge e illumina di nuova luce alcuni dei temi portanti del nostro tempo. Sono parole grandi: la tolleranza per il “diverso da noi”, il rispetto per il bagaglio di nozioni ed esperienze spirituali degli “altri”, il confronto teso alla ricerca di una possibile, reciproca comprensione dei “nemici”. Questi, quali che siano il volto, il colore o la lingua che li identificano, sono sempre dissimili da come li abbiamo dipinti in precedenza, senza conoscerli. E hanno ragioni, un vivere e sentire la vita, comunque degni di rispetto. Ce lo insegna il poeta di Ferrara nel “labirinto del caso, dei cuori e dei miraggi” che è il poema. Scrivendo apparentemente d’altro, di “donne, cavalieri, arme e amori”, Ariosto ci parla dei tempi suoi, mentre la penna vola per magiche vie traverse. Il poeta ha intinto quella penna nell’inchiostro del “realismo incantato” che è la sua prima cifra, e l’ha unita ad una saggia equidistanza dalle cose degli Uomini, ad un giudizio critico degni d’un antropologo. Il quale partecipa, sì, al girotondo della vita, ma soprattutto la osserva da vicino, e dice della comprensione e la stima con le quali egli considera “i nemici”, i musulmani, resi protagonisti speculari dell’opera. Il testo di Ariosto trasmette alla coreografia una precisa visione, piena di speranza: vedere nel diverso una possibilità di arricchimento, non una minaccia. La speranza che le religioni uniscano, e non siano pretesto per lotte o violenze. La speranza che la Bellezza, l'Arte, la Cultura siano quel cavallo fatato incaricato di riportare in Terra la ragione, smarrita in un mondo che, a volte, sembra averla persa definitivamente.
Sinossi La scena si apre mostrando un palcoscenico diviso in due zone, dove i danzatori sembrano evocare due eserciti contrapposti, oppure due popoli, o due mondi, separati e in lotta. Tra loro scorgeremo la figura di Orlando, che si strugge d'amore per Angelica, mentre la donna danza un passo a due con il suo innamorato Medoro, il soldato nemico. Orlando, pazzo di gelosia, danza la propria scena della follia. Appare Astolfo, che riporta la ragione ad Orlando non volando sulla Luna, ma danzando con lui, in un dialogo e comprensione con l'altro creato sulle ali della ragione e della compassione per l'umano. Dinamici, concitati, gli uomini ricostruiscono un ennesimo simbolo di divisione e incomprensione: un grande muro in fondo alla scena. Fa la sua comparsa poi la figura della guerriera Bradamante. La osserva, innamorato, Ruggiero, guerriero di esercito e religione opposta. Grande rilievo poi viene dato alla figura delle donne che compiono un rito di pacificazione tra uomo e donna, tra un popolo e l’altro. Si servono di una danza che disegna formazioni e strutture coreografiche “femminili”, rotonde e sinuose, lontane dalla prima parte del balletto, più severa, geometrica, militaresca. Nel passo a due tra Bradamante e Ruggero, i due si innamorano: da loro nascerà il casato degli Este, signori di Ferrara. Sono il simbolo di una nuova unione, non più d’uno scontro tra popoli di cultura e religioni diverse. Nel finale, in una danza corale, tutti danzano insieme, non più divisi. Linee e formazioni coreutiche sono circolari, i confini sono abbattuti definitivamente, la ragione di Orlando e dell'umanità intera, persa in guerra, viene ritrovata. Tornano la pace e l'unione, pur nella diversità. Ermanno Romanelli